Per il direttore esecutivo di Eiopa, Parente, serve lavorare ancora per la diffusione dei prodotti transfrontalieri. Primo passo sono i Pepp (Pan European personal pension product), ma per ora si aspettano ancora le prime richieste di autorizzazione. Per la revisione della direttiva europea sui fondi pensione, Iorp II, solo piccoli aggiustamenti, non si va verso una Iorp III. Ma per concretizzarla si dovrà aspettare il 2024-25

 

La revisione della direttiva europea sui fondi pensione Iorp II non arriverà prima del 2024-25 e riguarderà l’integrazione transfrontaliera, oltre che i miglioramenti di governance e prudenziali. Lo dice, in questa intervista con Previndai Media Player il direttore esecutivo dell’Eiopa (l’Authority Ue che vigila sul settore), Fausto Parente, che spiega anche che quest’anno l’Autorità lavorerà sui requisiti di sostenibilità dei prodotti previdenziali. E il Mystery shopping, che consente l’utilizzo di addetti in incognito per verificare concretamente il rispetto delle regole da parte degli operatori, potrebbe diventare realtà anche per i fondi pensione. 

 

Direttore Parente, qual è lo stato dell’arte della previdenza complementare in Europa?

“Ogni Stato ha le sue specificità ovviamente. Ma se è vero che il sistema pensionistico ha le proprie peculiarità in ogni Paese, è anche vero che alla fine le sfide sono molto simili. C’è una generale tendenza, per il contesto economico in cui viviamo, ad avere sempre più schemi a contribuzione definita anziché a prestazione definita. Solo per citare i dati dell’ultimo anno, la contribuzione definita è aumentata del 4% rispetto all’aggregato complessivo. C’è poi un sentire comune nel considerare sempre più i fondi pensione come soggetti in grado di aiutare la ripresa dell’economia, per la loro caratteristica di investitori di lungo periodo. Infine, va rilevata certamente una scarsa attività crossborder. Gli ultimi dati indicano solo 33 fondi pensione Iorp presenti in più Paesi. In precedenza il numero era più elevato per la presenza dei fondi Uk, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione ha prodotto un significativo decremento di questi prodotti. Ma più in generale possiamo dire che sotto questo profilo il mercato non è ancora sviluppato nel senso da noi auspicato”. 

 

Da pochi giorni i Pepp (Pan European personal pension product) sono diventati, almeno formalmente, una realtà. Questo prodotto potrà incrementare il mercato crossboarder?

“Sicuramente è una possibile risposta, ci abbiamo lavorato e creduto molto perché siamo sicuri che il pension gap si affronta con maggiori informazioni sia per i cittadini sia per i policy makers e con prodotti adeguati, semplici e leggibili. Il Pepp risponde un po’ a questo secondo requisito: sono semplici, standardizzati, particolarmente utili per chi per lavoro è portato a spostarsi spesso tra Paesi dell’Unione ma anche per chi non ha questa specificità”. 

 

Qualcuno è già partito? Che numeri vi aspettate?

“Sappiamo che ci sono almeno 21 operatori interessati a offrire questo prodotto ma per il momento non abbiamo ricevuto formali richieste di autorizzazione. Tutto è pronto, aspettiamo che arrivino le domande e sono convinto che, una volta partiti i primi prodotti, la competizione aiuterà a sviluppare il mercato. E’ quello per cui abbiamo lavorato e ci speriamo”. 

 

Una ricerca Ue stimava in circa 700 miliardi il possibile aumento del mercato della previdenza complementare in Europa grazie al lancio di questi prodotti..

“Si riferisce probabilmente alle analisi fatte al momento di partenza del lavoro di normazione sui Pepp, quindi qualche annetto fa. Di certo ricordo che gli studi preliminari ai lavori evidenziarono un forte interesse dei cittadini per questo tipo di prodotto e le stime di allora derivavano da questa evidenza. Al momento non abbiamo nuovi studi, quello che abbiamo rilevato è che per diverse ragioni, probabilmente per il trattamento fiscale o per via del cap sui costi introdotto nel regolamento, alcuni dei possible provider si stanno rivelando un po’ più cauti nel lanciare le offerte. Ed è un peccato perché la domanda a mio giudizio c’è. 

Come Eiopa, comprendendo che il cost/cap dell’1% del capitale accumulato per i primi anni possa essere sfidante, abbiamo consentito l’ammortamento del costo iniziale nei primi anni anziché solo nel primo anno. Non so se questo basterà, lo spero vivamente. Ad ogni modo quello che ci sembra di capire è che, sia su questo fronte che su quello del trattamento fiscale, non sia ancora tutto chiarissimo e questo probabilmente sta rallentando il lancio dei primi prodotti”. 

 

E per quanto riguarda i Peop, fondi paneuropei negoziali? C’è qualche riflessione in corso in sede Eiopa?

“Non ancora. Qualche tempo fa avevamo avviato qualche riflessione su un paneuropean DC Iorp però poi abbiamo dovuto dare priorità ad altri dossier, vedi il Pepp, per cui quel lavoro si è fermato”. 

 

Cos’altro si può fare, oltre alla diffusione di prodotti crossborder, per aumentare la diffusione delle soluzioni di previdenza complementare in Europa? 

“Sono due le leve che possiamo attivare. La seconda, come accennato, è l’offerta di prodotti semplici e il Pepp può essere uno di questi. L’altra, la prima, è l’informazione: dobbiamo fare in modo che tutti i cittadini abbiano piena cognizione di quale sia la loro proiezione pensionistica, considerando tutti e tre i pilastri, senza che per questo siano necessari particolari sforzi o complessi calcoli affidati al singolo cittadino. Sotto questo profilo abbiamo lavorato su due progetti, su mandato della Commissione, uno è il così detto Pension Dashboard e l’altro il Pension Tracking Service”. 

 

Può descriverceli brevemente?

“Il Pension Dashboard è uno strumento per i governi, basato su dati che possono includere sia il primo pilastro che gli altri due, pensato per aiutare i policy maker a comprendere come è situato il proprio Paese, dove potrebbe esserci un gap e avere contezza di quanto sia adeguata la pensione che il sistema nel suo complesso offre ai propri cittadini. Il Pension Tracking Service, invece, è rivolto ai cittadini. Sarebbe una semplice app che, sempre sulla base di dati relativi a tutti e tre i pilastri, dovrebbe consentire a un lavoratore di avere contezza di quale sarebbe il suo guadagno pensionistico complessivo, in base alle informazioni disponibili in quel momento, ovviamente. L’obiettivo è fornire uno strumento semplice per comprendere quali saranno le disponibilità economiche al momento del ritiro dalla vita lavorativa, in modo da poter valutare se siano sufficienti, adeguati o se si debbano fare delle scelte di risparmio diverse”.

 

Una app del genere a un profano appare rivoluzionaria..

“Certo metterlo in pratica sarà più complesso che raccontarlo, però non sono cose impossibili da realizzare. Alcuni Paesi, per esempio, hanno già un dashboard per il primo pilastro. Diciamo che sicuramente si potrebbe partire per costruire, magari step by step, questi strumenti. Sappiamo che mettere insieme le diverse banche dati potrebbe risultare complesso ma nel nostro documento per la Commissione abbiamo indicato quali potrebbero essere i passaggi, come arrivarci e anche come procedere per tappe successive, senza essere necessariamente troppo ambiziosi all’inizio. Quel che serve sono investimenti, base dati e la volontà di farlo. Come Eiopa abbiamo già fatto questo lavoro di studio e potremmo contribuire anche alla fase di pratica implementazione. Noi abbiamo già una base dati, perché abbiamo informazioni sui nostri vigilati, ma c’è un’altra parte del sistema sulla quale non abbiamo visibilità. Ad ogni modo se ci fosse la volontà politica non sarebbe certo un sogno irrealizzabile”. 

 

Più in generale quanto è importante la diffusione di una cultura finanziaria e previdenziale, e penso anche alla scuola, per superare il pension gap?

“È di fondamentale importanza e come Eiopa abbiamo il ruolo di coordinare iniziative di educazione finanziaria, tanto nel settore pensionistico che in quello assicurativo. A febbraio scorso abbiamo tenuto una conferenza proprio su questo tema e ciò che è emerso con chiarezza è che c’è uno stretto collegamento tra l’educazione finanziaria di un cittadino e la probabilità di pianificare il proprio futuro e quindi non avere fragilità economiche al momento della pensione. Altra evidenza è che, anche quando si è più o meno vicini all’età del ritiro, spessissimo non si hanno conoscenze adeguate a pianificare la propria pensione. Eppure si tratta di concetti semplici, che non implicano studi specifici. Insomma, ricerche e base dati ci convincono sempre più che questa è un’area su cui bisogna investire. Guardando all’Italia in particolare mi fa piacere sottolineare che il Comitato per l’Educazione Finanziaria in questi anni ha lavorato tanto e bene, ha presentato le sue esperienze nella nostra conferenza e possiamo certamente dire che il Paese su questo fronte si sta muovendo nella giusta direzione. Certo partiamo da un gap tale che c’è ancora tanto lavoro da fare e non certo solo in Italia”. 

 

Restando all’Italia, qual è la sua percezione del Paese sotto il profilo della diffusione e adeguatezza del sistema della previdenza complementare?

“Quello che dicevamo prima per l’Europa in generale vale anche per l’Italia, che è un mercato sostanzialmente a contribuzione definita, perché l’ammontare di schemi di altro tipo è davvero poco rilevante. Per altro con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione il mercato italiano dei fondi aziendali, in termini di attivo totale, è diventato il quarto in Europa, dopo Olanda, Germania e Svezia. Un mercato importante, quindi, anche se ci sono ancora margini non trascurabili di crescita. Infine anche in Italia, come in altri Paesi, si registra un fenomeno di consolidamento, perché il numero dei fondi è diminuito dal 2016 al 2020”. 

 

L’Italia è comunque un mercato più giovane rispetto ad altri..

“Sì ma anche se giovane è un mercato importante. Non è l’Olanda, che è ormai è il gigante europeo del settore, ma l’Italia è un player ai primi posti per attivo totale. Certo c’è molto ancora da fare per raggiungere mercati come gli Stati Uniti o Uk ma in Europa in generale non solo in Italia”. 

 

E per quanto riguarda l’implementazione di Iorp II, com’è posizionata l’Italia rispetto ad altri Paesi?

“È una domanda difficile. La direttiva è di minima armonizzazione e quindi sono varie le modalità con cui gli Stati l’hanno recepita, adattandola al loro contesto. Come Eiopa abbiamo emanato delle ‘Opinion’ per spingere verso la convergenza su alcuni aspetti particolarmente rilevanti, come per esempio il risk assesment o il risk management. Queste opinion sono state emanate un paio di anni fa e sarà quest’anno che verificheremo come sono state implementate. Insomma, è un po’ presto per essere preciso su questo punto. 

Quello che posso dire però è che essendo un mercato di dimensioni importanti, l’Italia ha giocato un ruolo significativo durante i lavori di raccolta di best practice ed esperienze. La mia personale aspettativa è quindi che il modo in cui è applicata la direttiva in Italia non dia adito a problemi, ma non posso confermarlo con dati o evidenze, perché le stiamo ancora raccogliendo”.

 

Guardando al futuro, su quali temi si concentrerà la vostra attenzione nella revisione della direttiva Irop II?

“La direttiva prevede una revisione nel 2023, ma sappiamo già che potrebbe slittare un po’ perché a livello europeo abbiamo registrato alcuni ritardi nelle implementazioni nazionali. La Commissione dovrebbe chiederci di iniziare a lavorare sul dossier verso la metà di quest’anno ma la mia personale aspettativa è di arrivare a una revisione solo nel 2024-25. Le aree su cui vorremmo lavorare sono l’ampliamento del mercato crossborder, come accennavo, perché visto che stenta a decollare probabilmente c’è qualche aggiustamento necessario  per facilitare l’integrazione, le sinergie, le economie di scala. Comunque la direttiva prevede una clausola di general review, quindi è previsto che si lavori su miglioramenti sia dal punto di vista prudenziale che sul versante della governance. Noi ci aspettiamo per la verità, proprio perché il mercato sta passando sempre più da prestazione definita a contribuzione definita,  che il lavoro sarà molto più sull’informativa, sul pension benefit statement, su defined contributionn scheme, piuttosto che non sulla solvibilità. Come accennato oggi anche il grande mercato olandese si sta muovendo verso la contribuzione definita, quindi lavorare molto per armonizzare i requisiti patrimoniali non sarà  secondo me la priorità ”.

 

Considera più probabili piccoli aggiustamenti o cambiamenti sostanziali che potrebbero portare a una sorta di Iorp III?

“Francamente la mia aspettativa è che ci siano più che altro aggiustamenti, perché il mercato mi sembra andare in questa direzione piuttosto che verso una rivoluzione. D’altronde il nostro motto, in Eiopa, è ‘Evolution  rather than revolution’”.  

 

Sui fattori Esg, di cui si parla molto anche nel mercato previdenziale, avete fatto qualche ragionamento?

“Dovremo lavorarci, abbiamo iniziato sul fronte assicurazioni, su mandato della Commissione, per capire se ci siano evidenze di maggiore o minore rischiosità a seconda delle caratteristiche Esg dei prodotti. La Iorp è stata la prima direttiva a introdurre gli elementi Esg tra i suoi requisiti ma adesso rischia di diventare, prima di essere rinnovata, quella che seguirà le altre. Ci aspettiamo una richiesta di consulenza (Call for Advice) da parte della Commissione su come incrementare la sostenibilità degli investimenti di lungo periodo dei fondi pensione, dovrebbe arrivarci nei prossimi mesi e credo ci lavoreremo quest’anno”. 

 

Su cosa si concentrerà il lavoro?

“Si lavorerà sull’informativa, su come rendere sempre più facile per i clienti scegliere le opzioni più sostenibili. Non è una cosa facile ma è nei programmi”.

 

Il Mystery shopping, già sperimentato in altri settori come banche e assicurazioni, potrebbe essere esteso anche ai fondi pensione?

“È certamente uno strumento utile, tanto che nel regolamento fondativo dell’Eiopa, come per le altre Autorità, è menzionato esplicitamente il nostro compito di coordinare iniziative di Mystery shopping in Paesi che vogliano adottarlo. Questo compito riguarda sia le assicurazioni che il mondo della previdenza, quindi nulla osta che si faccia un progetto su quest’area.  Proprio adesso stiamo lavorando, dopo aver fatto un’esperienza concreta con l’Ivass (l’Autorità di vigilanza sulle assicurazioni, ndr) in Italia e con qualche altro Paese, a una metodologia che possa essere di riferimento per ogni Stato che voglia lanciare questo tipo di iniziativa. Noi comunque abbiamo solo il potere di coordinare le iniziative nazionali, non saremmo noi a poterle avviare, se non per tramite di un interesse da parte dell’Autorità nazionale”. 

 

I risultati di questo progetto pilota potrebbero valere anche per i fondi pensione?

“Si, potrebbe valere anche nell’ambito pensionistico, se ci fosse la volontà. Certo un fondo pensione aziendale ha caratteristiche diverse; quindi, andrebbe adattato alla peculiarità del settore ma nulla osta in questo senso”.

 

Da ultimo, cosa significherebbe per Stati e lavoratori un incremento delle adesioni alla previdenza complementare?

“Sarebbe fondamentale in primo luogo per i lavoratori, tanto che in alcuni Paesi c’è un obbligo di adesione alla previdenza complementare. Non voglio dire che quella debba essere necessariamente la strada da seguire ma aumentare il coinvolgimento dei cittadini servirebbe sia a rinforzare la loro possibilità di avere un reddito adeguato nel lungo termine sia ad aumentare la massa dei fondi che potrebbero essere messi a disposizione dell’economia reale, degli investimenti di lungo termine, specie su progetti di sostenibilità, in grado di migliorare il benessere della società in generale, perché tutti ne potrebbero beneficiare”. 

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