In questa intervista con Barbara Alemanni, professore di finanza comportamentale, spieghiamo quali sono gli errori più comuni e cosa fare per cercare di evitarli

Immobilismo, comportamenti gregari, miopia temporale. Sono tutti atteggiamenti che possono influenzare in maniera negativa le scelte di investimento, soprattutto in periodi di particolare volatilità dei mercati. Lo racconta in questa intervista con Previndai Media Player  Barbara Alemanni, professore ordinario di Economia degli Intermediari finanziari presso l’Università di Genova e affiliate professor alla SDA Bocconi. Per la previdenza complementare il monito è uno solo: si fanno pochissimi switch di comparto in questo settore, e questo non è necessariamente un bene, ma di certo andrebbero fatti solo “Se cambiano i nostri bisogni e non se cambiano i mercati”.  

Siamo in una fase di grande volatilità dei mercati finanziari, quali sono gli errori più comuni tra gli investitori in queste fasi?

“Innanzi tutto, una doverosa premessa: i comportamenti non sono mai codificabili fino in fondo e non ci sono ricette per superare totalmente l’emotività delle persone. La bacchetta magica non esiste. 

Ciò detto, i comportamenti degli investitori nelle condizioni di volatilità vanno letti in funzione delle loro ‘avversioni’.  Perché l’atteggiamento delle persone nei confronti del rischio è mediato dalla personalità: non è vero che diventiamo più avversi al rischio quando i mercati diventano più difficili e siamo più coraggiosi quando i mercati sono più facili. Questo è scientificamente sbagliato. Le persone hanno un certo temperamento nei confronti del rischio, che è caratteriale e che tendenzialmente rimane piuttosto costante nella vita di una persona”. 

Quindi l’idea che se i mercati diventano più volatili le persone diventano più avverse al rischio è diffusa ma sbagliata?

“Si, in realtà è un tema di percezione della capacità di sopportare le montagne russe dei mercati. Se sono particolarmente positivi e un investitore si interroga sui suoi obiettivi, questi diventano più ambiziosi e gli orizzonti temporali si allungano (‘Quando avrò bisogno del denaro? Beh per il momento non mi serve’). Quando viceversa i mercati diventano più difficili, immediatamente l’orizzonte temporale si accorcia e le persone ritengono di avere bisogno di quel denaro prima del dovuto e quindi preferiscono stare liquidi. Non è l’avversione al rischio che cambia ma la percezione della propria capacità di sopportare il rischio. E questo è un primo aspetto”. 

Quali altri aspetti entrano in gioco?

“Il secondo aspetto è l’avversione alle perdite, che è una cosa profondamente diversa dall’avversione al rischio. L’avversione al rischio misura quanto si riescano a sopportare situazioni incerte senza troppe difficoltà, senza frustrazione psicologica. L’avversione alle perdite è invece l’atteggiamento asimmetrico che le persone hanno davanti a guadagni e perdite. L’avversione alle perdite fa sì che qualsiasi sia la nostra avversione al rischio le perdite pesino sempre di più dei guadagni. Qualcuno sostiene che si tratti di un errore cognitivo”. 

Facciamo un esempio?

“Poniamo che io abbia investito per mandare i miei figli, che oggi hanno tre anni, all’università. Ho investito in attività volatili perché sono quelle che, per loro natura, hanno la capacità di far crescere il portafogli nel lungo periodo. Tuttavia, a tre mesi dall’investimento, controllando le performance potrei registrare una perdita sul valore iniziale. Il che sarebbe normale perché sappiamo le attività volatili crescono ma con grandi oscillazioni. Il punto allora qual è? È che se si guarda troppo di frequente la performance degli investimenti si può incappare in un errore cognitivo: potrei registrare delle perdite, spaventarmi e provare il desiderio di uscire dai mercati. L’errore cognitivo consiste nell’essere miope, una miopia temporale. Un’incoerenza tra l’attività di monitoraggio dei miei investimenti, esagerato in questo caso, rispetto a quello che è il mio orizzonte temporale. Questo non significa ovviamente che debba aspettare 15 anni per capire se ho trovato o no un buon investimento!”

 

Quindi?

“Quello che sto dicendo è che se investo a lungo termine non ha senso che ogni giorno vada a controllare cosa succede ai miei investimenti. Se è un errore cognitivo, a questo punto, abbiamo capito che l’errore è la miopia e infatti tecnicamente si parla di ‘avversione alle perdite miope’. Ma c’è anche dell’altro, ci sono molte evidenze, anche nel mondo animale, che mostrano come il fastidio che proviamo davanti alle perdite sia qualcosa di connaturato. Alle persone non piace perdere e questo è un tratto che ovviamente non è uguale per tutti. Quindi c’è l’errore cognitivo ma c’è anche il tratto caratteriale. Dobbiamo comprendere dunque qual è il nostro atteggiamento davanti alle perdite per riconoscere quanto si possa essere portati a investire in attività che potrebbero darci dei dispiaceri. Ma c’è anche una terza ‘avversione’ utile per comprendere certi comportamenti tipici in mercati volatili”.

Qual è?

“Si tratta dell’aversione al rammarico, quel senso di fastidio che proviamo quando non facciamo la scelta giusta. Tornando al tema della volatilità, è uno dei casi in cui possiamo cercare di metterci al riparo proprio dall’avversione al rammarico. Gli atti di difesa in questo caso possono essere due: il primo è un atto di omissione, perché omettere di fare la scelta giusta fa meno male di dover prendere atto di aver fatto la scelta sbagliata. Quindi abbiamo le persone immobili, che non escono dallo status quo. 

L’altra difesa è una sorta di ‘mal comune mezzo gaudio’, fare quel che fanno gli altri, il conformismo. Il che, dal punto di vista dei comportamenti finanziari, significa comprare ai massimi o comunque quando i mercati salgono, e vendere quando i mercati scendono. Ovviamente tanto più volatili sono i mercati tanto più questo comportamento gregario rischia di farci perdere denaro.  Questo è un po’ il quadro: le avversioni spingono a comportamenti miopi, gregari, imitativi, o a situazioni di immobilismo spaventato, soprattutto in presenza di mercati particolarmente volatili”. 

C’è dell’altro?

“C’è un tema di attenzione. È il tema della salienza. Oggi siamo bombardati di informazioni e questo ci porta spesso a fare considerazioni errate. Se c’è un’informazione che attrae la nostra attenzione sarà importante e quindi utile. Qui giocano un ruolo i mezzi di comunicazione, sentiamo in apertura dei Tiggì che le borse hanno bruciato miliardi, mentre una ripresa, anche diversi punti percentuali, non ha solitamente lo stesso risalto. C’è dunque una salienza delle informazioni a cui reagiamo, spesso e volentieri, in modo asimmetrico. Non è un’accusa agli organi di informazione, il punto è che la nostra attenzione selettiva può portarci a comportamenti non equilibrati”. 

Riassumendo, se dovessimo dare due-tre spunti pratici da tenere presenti in mercati volatili, cosa potremmo dire?

“Potremmo dire due cose: la prima è consigliare un serio esame di coscienza prima di fare investimenti che non sono alla nostra portata dal punto di vista psicologico, imparare a conoscersi bene, evitare euforia e depressione. Forse è più facile dirlo che farlo ma è un aspetto importante.

 Imparare a capire come siamo è fondamentale, ma magari impariamo tardi, siamo già sulle montagne russe ed ecco allora il secondo elemento da tenere sempre in considerazione: ricordarci perché abbiamo fatto determinate scelte. Per la stragrande maggioranza delle persone il denaro è un mezzo e non un fine e riportare l’attenzione all’uso che volevamo farne può aiutarci a togliere enfasi da un contesto di volatilità, a tenere a bada il rumore di fondo che inevitabilmente arriva. Questo può aiutarci a evitare la miopia, a evitare di trarre conclusione sul breve termine quando in realtà il breve termine impatta molto poco su quelli che erano i nostri obiettivi di investimento. Spaventarci oggi e uscire dai mercati, per un investimento che avevamo pensato a 15 anni, è probabilmente la peggior cosa che possiamo fare. La storia insegna che questi andamenti tendenzialmente si ripetono: a giorni terribili di borsa ne seguono tra i migliori che si possano ricordare. Insomma, siamo abituati ad usare la lente di ingrandimento in queste situazioni quando invece lo strumento che dovremmo usare è il binocolo. Il monito è rimanere coerenti con quelle che erano le motivazioni iniziali dell’investimento”.

L’informazione e l’educazione finanziaria che correlazione hanno con le scelte d’investimento? 

“Qui purtroppo non ci sono evidenze che possiamo definire incontrovertibili. Ci sono molte evidenze del fatto che persone con un maggiore grado di educazione finanziaria sono più disciplinate nei propri comportamenti ma anche molti esempi di operatori professionali che comunque commettono errori. Quindi è chiaro che ci sono errori che commettiamo per incompetenza, ignoranza nel senso letterale del termine, ed errori che facciamo per tutto quell’insieme di condizioni che la finanza comportamentale studia e che purtroppo possono essere fatti anche da operatori specialistici”. 

È corretto dire che l’educazione finanziaria dà strumenti per fare scelte più consapevoli?

“Certo e vorrei sottolineare che i concetti basilari da conoscere non sono molti. Sono il trade-off rendimento-rischio, l’importanza della diversificazione del portafoglio e l’importanza della diversificazione temporale. Educazione finanziaria vuol dire sapere che il rendimento è un premio per l’assunzione di un rischio e che più alto è il rendimento atteso maggiore è il rischio correlato; ma anche che una buona scelta di portafoglio è sempre non mettere tutte le uova nello stesso paniere e infine la coerenza con gli orizzonti temporali”. 

Quanto contano le inclinazioni degli individui nelle scelte finanziarie di lungo periodo come quelle previdenziali?

“Contano e molti aspetti li abbiamo già trattati. È chiaro che l’investimento previdenziale è un investimento di lungo periodo e dunque proprio per questo potremmo permetterci di scegliere linee più volatili, che possono far crescere potenzialmente di più la nostra rendita previdenziale. Ma ovviamente non siamo tutti uguali, ci sono alcune persone che soffrono di più l’incertezza e che, benché adeguatamente educate e rassicurate, se vedono un segno meno davanti al loro investimento si spaventano.  Benché ci sia il tempo per recuperare per alcune persone quei segni meno sono emotivamente pesanti da tollerare e quindi vale il discorso del comprendere quanto ci possa far male, infastidire e spaventare una situazione simile e comportarsi di conseguenza. 

Un altro elemento da considerare è che, soprattutto sul lungo periodo, soprattutto perché abbiamo comportamenti tendenzialmente inerziali, perché decidere è faticoso, una volta fatta una scelta tendiamo a mantenerla. Ma ci possono essere situazioni che sono per noi tanto sgradevoli da farci uscire dall’inerzia e spesso questo accade proprio nei momenti sbagliati. Tradotto nella previdenza complementare questo significa che, benché di switch tra linee di investimento se ne facciamo pochi, rischiamo di farli nei momenti sbagliati e non perché servano finanziariamente ma perché ci spaventiamo. Ricordiamo sempre che gli switch servono se cambiano i nostri bisogni non se cambiano i mercati”. 

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