Commento di Annamaria Lusardi, direttore del Comitato per l’Educazione Finanziaria e Professoressa della George Washington University School of Business.

Progettare il futuro in condizioni di grande  incertezza è una delle imprese del nostro tempo. Molte cose stanno cambiando sotto i nostri occhi e continueranno a trasformarsi a una velocità senza precedenti, con impatti sulla società, sulle aziende e sulle persone. Il mercato del lavoro pone nuove sfide alla competitività delle imprese in termini di formazione del capitale umano e dello sviluppo di competenze a tutti i livelli, anche e soprattutto manageriali. 

L’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale ci offre una visione per il futuro e gli strumenti e i metodi per migliorare il nostro benessere economico, anche nei momenti di crisi. Gli studi dimostrano che c’è una forte connessione tra conoscenza finanziaria e capacità di resistere agli shock: chi sa di più affronta meglio gli imprevisti ed è finanziariamente meno fragile. I costi della non conoscenza sono altissimi nell’epoca dell’informazione e della digitalizzazione, ed è l’intera società a pagarne il prezzo, insieme ai singoli individui. Oggi più che mai  è necessario investire in formazione  e capitale umano, incluso in conoscenze finanziarie.

L’educazione finanziaria però non è una risposta alla crisi, ma al mondo che cambia. E ci aiuta a governare questo cambiamento, anche in azienda. I mercati finanziari sono diventati più complessi e si è ampliata l’offerta di prodotti a disposizione delle imprese e dei consumatori, grazie alla tecnologia e ai servizi digitali. L’aumento della speranza di vita e i cambiamenti demografici ci impongono di re-immaginare il nostro futuro, anche previdenziale. Il primo pilastro del sistema pensionistico, quello obbligatorio, è sempre meno sufficiente a garantirci di poter mantenere il nostro stile di vita quando saremo usciti dal mercato del lavoro. E questo riguarda tutti i lavoratori, i dipendenti, gli autonomi e i professionisti, gli imprenditori. Ed anche le generazioni future. 

I numeri non sono confortanti; le adesioni ai fondi di previdenza complementare, seppure in crescita, sono molto basse in Italia: aderisce solo il 33 per cento dei lavoratori, secondo la Relazione annuale Covip. Come bassa è la conoscenza degli strumenti di previdenza complementare: meno della metà degli intervistati nell’ultima indagine del Comitato Edufin-Doxa dichiara di conoscerne il loro funzionamento. E non c’è solo un tema di adesioni ai fondi, come mostra sempre l’ultimo Rapporto Covip: ci sono anche circa un milione di iscritti alla previdenza complementare che non versano contributi da 5 anni. 

L’educazione previdenziale, anche nel secondo pilastro pensionistico, può aiutare a comprendere l’importanza di risparmiare con costanza e di pianificare una contribuzione adeguata ai nostri obiettivi futuri. Può insegnarci a utilizzare bene il tempo, una delle risorse più importanti in finanza. Dico spesso che la pensione è una cosa da giovani e per i giovani, proprio perché sono loro a possedere gran parte di questa risorsa. E voglio aggiungere che la pensione è una forma di risparmio più che mai adatta ai nostri figli per consentire loro di costruirsi in anticipo dei progetti di vita, e che bisogna imparare l’abc della finanza e della previdenza sin dalla scuola per costruirci un futuro più sereno. 

La scuola deve porre le basi, le fondamenta della nostra conoscenza finanziaria. Ma cosa succede dopo la scuola? Come per tutte le materie che ci servono per abitare il mondo, che è in continuo cambiamento, anche per l’educazione finanziaria serve la formazione continua. E quale posto migliore delle aziende per innalzare nuovi pilastri sulle fondamenta della nostra conoscenza finanziaria?  Ogni singola impresa potrebbe introdurre forme di educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale sul posto di lavoro per offrire ai dirigenti, ai dipendenti e ai collaboratori informazioni aggiornate. E per migliorare le competenze necessarie a prendere decisioni consapevoli per il proprio futuro. 

Il coinvolgimento delle imprese nella diffusione dell’educazione finanziaria tra i lavoratori può contribuire ad aumentare il livello di alfabetizzazione finanziaria degli italiani che in generale è ancora basso, nonostante i progressi degli ultimi anni, con effetti non solo sulla pensione, ma sulla capacità di progettare il domani. Una famiglia su quattro nel nostro Paese dichiara di non avere obiettivi di medio-lungo termine (rapporto Comitato Edufin – Doxa); mentre secondo il 75% degli intervistati  nell’ultimo “Rapporto Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane”, è difficile risparmiare per obiettivi troppo lontani nel tempo. 

Ma è proprio da una prospettiva di lungo periodo che è necessario ripartire per costruire il futuro.

Ecco perché con il Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria, che ho l’onore di dirigere, promuoviamo l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale non solo per gli adulti, ma anche per i giovani; non solo sui luoghi di lavoro, ma anche a scuola, come materia obbligatoria; nei piccoli comuni e nelle grandi città, con iniziative come “Il Mese dell’educazione finanziaria” che vogliono raggiungere anche chi è escluso dal mercato del lavoro o chi rischia di non entrarci.

 

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