Secondo i dati Ocse le ore lavorate in Italia sono più che in Germania, Francia o Regno Unito. Produttività in crescita nel 2020 ma non basta a colmare la differenza con il resto d’Europa

Un italiano lavora più di un inglese, di un francese e di un tedesco. E non è una barzelletta. È quanto emerge, invece, dai dati Ocse relativi al 2019 (i numeri del 2020 risentono della pandemia): gli occupati italiani hanno lavorato in media per 1.715 ore nel nell’anno, più della media dell’Unione europea e anche più di che in Paesi come appunto Regno Unito, Francia e Germania (vedere tabella in pagina). È vero che il dato rimane un po’ più basso della media Ocse (1743 ore lavorate annue) ma comunque l’evidenza risulta un po’ in controtendenza con l’immaginario collettivo. A questi numeri però non si può non sovrapporre quelli sulla produttività del lavoro, da decenni tallone d’Achille dell’Itala. 

Tuttavia, secondo le ultime rilevazioni Istat, nel 2020 il dato è migliorato in virtù del crollo delle ore lavorate a cui non ha corrisposto un eguale calo del valore aggiunto. In soldoni, la produttività del lavoro è cresciuta dell’1,3% nell’anno dello scoppio della pandemia di Covid 19, un valore più che doppio rispetto alla media dello 0,5% registrata fra il 2014 e il 2020 e più che triplo di quello dell’intero periodo 1995-2020, pari ad appena lo 0,4% (vedere tabella in pagina). Il dato del 2020 si confronta inoltre con un valore medio registrato nella Ue27 virato in negativo dello 0,1%; che diventa decisamente peggiore se si guarda ad altri grandi Paesi Ue, con la Spagna che ha segnato un calo del 2,8% e la  Francia dell’1,1%, mentre la Germania si è attestata a +0,4%.

Allargando l’orizzonte temporale si conferma però il divario tra l‘Italia e il resto d’Europa: nel periodo 1995-2020 la crescita media annua della produttività del lavoro nella Penisola (+0,4%) è stata decisamente inferiore a quella sperimentata nel resto d’Europa (+1,5% nell’Ue a 27); mentre tassi d’incremento più in linea con la media europea sono stati registrati in Francia (1,2%) e Germania (1,3%). La Spagna, invece, si posiziona su un tasso di crescita analogo a quello italiano. 

Guardando al solo 2014-2020, infine, la produttività del lavoro in Italia è aumentata dello 0,5% in media ogni anno, con un piccolo miglioramento rispetto al resto d’Europa, che si è attestata a +1,2% nel periodo. Nel dettaglio, la dinamica italiana è risultata inferiore a quella della Germania (1%), pari a quella della Francia (+0,5%) e migliore rispetto al +0,4% della Spagna.

Al di là dei freddi numeri, che certamente meritano di essere inquadrati in un contesto più ampio, resta il fatto che la produttività sarà un tema cruciale nei prossimi anni  per decidere del futuro del Paese. Non a caso il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) prevede una serie di leve da attivare entro il 2026 per superare il divario con il resto del Vecchio Continente: dalla digitalizzazione, alle riforme della Pa, della giustizia, del mercato del lavoro; da una maggiore concorrenza ai programmi di investimento in Ricerca e sviluppo e nelle infrastrutture (specie al Sud). Grazie a questa spinta, secondo le proiezioni dell’esecutivo guidato dal premier Mario Draghi la produttività del lavoro dovrebbe crescere dello 0,5% in più rispetto a una dinamica senza Pnrr. Bisognerà attendere per vedere se, anche con un orizzonte decisamente più cupo rispetto alle previsioni iniziali del Piano, a causa della guerra in Ucraina e della volata dell’inflazione, queste previsioni saranno riviste o comunque si dimostreranno realizzabili. 

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