Che l’aspettativa di vita delle donne sia più alta di quella degli uomini non è una novità. Ma da quali e quanti fattori è influenzata? E come e perché si è modificata nei secoli?

 

Il sole è giallo, il cielo è blu e l’aspettativa di vita delle donne è maggiore di quella degli uomini. Un dato di fatto, conosciuto da tutti, che tuttavia merita di essere esplorato anche solo per la curiosità di comprenderne i meccanismi e scoprire se sia poi una realtà così universale, nello spazio e nel tempo. 

Come suggerisce un interessante saggio di Our World in Data, a firma di Saloni Dattani e Lucas Rodés-Guirao, questo è vero in praticamente tutto il mondo anche se, naturalmente, ci sono Paesi in cui sono gli uomini a essere più longevi. Ma cerchiamo di fare un po’ di ordine.

Innanzitutto, va detto che il dato medio sull’aspettativa di vita alla nascita dipende dalla combinazione dei diversi tassi di mortalità registrati in vari periodi della vita: la nascita e l’infanzia, la giovinezza e l’età adulta e la vecchiaia. 

Ebbene forse non tutti sanno che i neonati maschi hanno un tasso di mortalità, alla nascita e nelle settimane successive, più elevato rispetto a quello delle femmine. Questo per via delle nascite premature più frequenti, dei disordini genetici, di una maggiore predisposizione alle infezioni.

La stessa tendenza si ritrova nel corso della giovinezza, e anche questo sempre a livello globale, perché gli uomini hanno maggiori probabilità di ritrovarsi coinvolti in atti di violenza e/o incidenti. 

Infine, in vecchiaia i maschi sono più di frequente colpiti da malattie croniche, connesse magari  all’abitudine al fumo o all’assunzione di alcol e droghe in gioventù.

Tuttavia, è piuttosto intuibile che il modo in cui i tassi di mortalità di queste diverse età si sommano per dare il risultato finale sull’aspettativa di vita è variato molto negli anni e grandi differenze sulla differente longevità tra uomini e donne si riscontrano ancora oggi a livello geografico. 

Quanto alla prima variabile, il tempo, va rilevato che le differenze nella mortalità alla nascita e infantile erano decisamente più alte nei primi decenni del secolo XX, così come, ovviamente, punte altissime nelle differenti aspettative di vita si registrano nei periodi delle due guerre mondiali. Quanto alle differenze geografiche, invece, il divario maggiore nell’aspettativa di vita fra uomini e donne si riscontra attualmente (dati nei 2021) in Russia, con una differenza di oltre dieci anni in più per la popolazione femminile.

Guardando all’Italia si può vedere come, partendo da una situazione invertita sul finire del 1800, quando le prospettive di vita erano leggermente migliori per gli uomini che per le donne, la differenza sia andata man mano allargandosi a favore del genere femminile (con picchi elevatissimi durante le due guerre mondiali), per poi normalizzarsi e riprendete a salire fino ai primi anni Novanta. Da allora il gap è andato man mano restringendosi, passando da una differenza stimata di 6,7 anni ai 4,7 anni del 2021. Quest’ultimo dato, a sua volta,  è leggermente inferiore rispetto alla media globale, che segna un dislivello di cinque anni nelle aspettative di vita tra uomini e donne.

Già sappiamo, però, che in futuro gli italiani saranno ancora più longevi, con un numero atteso di ultraottantenni che sarà pari al 10% della popolazione nazionale nel 2060. Basta questodato, unito al il gap atteso tra l’ultima retribuzione e il primo assegno pensionistico (attorno al 60% per gli impiegati e al 40% per i dirigenti completamente nel metodo di calcolo contributivo), per rendere evidente quanto la previdenza complementare sempre di più avrà un peso determinante per poter vivere con serenità anche i tanti anni, si spera in salute, dopo l’addio al lavoro. Per scoprire di più su come rafforzare il tuo salvadanaio previdenziale clicca qui

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