Da una recente indagine Mefop il 100% dei fondi pensione italiani che investono in alternativi,  e hanno un focus geografico, includono il Paese nella lista. E la maggior parte pensa ad aumentare l’esposizione a questa asset class.

 

I fondi pensione italiani sempre più ‘alternativi’ e sempre più decisi a contribuire allo slancio dell’economia italiana. E’ quanto emerge dalla seconda edizione dell’ “Osservatorio sugli investimenti alternativi” del Mefop, la Società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi pensione del ministero dell’Economia.

A questo secondo appuntamento, curato da Antonello Motroni e Maria Dilorenzo (Area Economica e Finanziaria di Mefop) hanno partecipato 106 tra fondi pensione, casse di previdenza e fondi sanitari, per un patrimonio complessivo (al 30 dicembre 2020) di quasi 220 miliardi di euro (+20% rispetto all’edizione precedente). 

Per quanto riguarda in particolare i fondi pensione “Abbiamo registrato un aumento significativo della partecipazione, con 16 soggetti in più rispetto all’edizione precedente, per un totale di 74 fondi, e questo ovviamente ci consente di avere una visione più articolata del panorama. Certamente dai numeri emerge una maggiore attenzione per asset class alternative, si passa dal 46% al 48%, anche se non siamo ancora alla maggioranza assoluta”. In molti casi, infatti, questo tipo di investimenti si scontra con difficoltà oggettive, più che con l’indifferenza verso questa possibilità di diversificazione. “Abbiamo analizzato le ragioni dei fondi che hanno risposto di non detenere questi investimenti in portafoglio ed emergono due temi di particolare rilevanza: l’esiguità del patrimonio e l’inadeguatezza delle strutture di controllo per gestire la complessità di questi prodotti. Una situazione diversa rispetto a un anno fa, quando molti avevano spiegato di non guardare agli alternativi perché potevano contare su una diversificazione di portafoglio già adeguata o a causa dell’illiquidità di questi asset; risposte che quest’anno che sono state invece indicate da una percentuale decisamente minore di soggetti”. 

Una sorta di ‘vorrei ma non posso’, quindi, che sembra essere testimoniato anche da un’altra evidenza dello studio: “Tra quei soggetti che non detengono investimenti alternativi ma che potrebbero valutarli in un prossimo futuro, appare di massimo rilievo il tema delle iniziative consortili”, sottolinea ancora Motroni. Per fondi di dimensione-medio piccola, infatti, questa opzione potrebbe aiutare a superare le difficoltà grazie alla “possibilità di condividere conoscenze, expertise ma anche per un’ottimizzazione dei costi, possibile mettendo insieme un patrimonio più elevato”, aggiunge Dilorenzo. 

Più in generale la stragrande maggioranza dei fondi vede gli alternativi come una valida soluzione per diversificare il portafoglio (vedere tabella ‘La motivazione dell’investimento in alternativi’) e ottenere un premio per l’illiquidità dell’investimento, coerente con il proprio orizzonte temporale di investitori di lungo periodo. 

Un altro elemento significativo è poi che tutti i fondi che hanno un focus geografico per questi investimenti indicano di puntare sull’Italia, con l’evidente e dichiarato obiettivo di essere di aiuto e stimolo all’economia nazionale. “Dall’Osservatorio emerge chiaramente che tramite gli strumenti alternativi i fondi pensione vogliono in qualche modo supportare il sistema Paese. La totalità dei fondi pensione, infatti, strategicamente decide di effettuare investimenti alternativi in Italia e nei Paesi dell’Unione europea e dell’Area Euro, per lo più. Un dato questo influenzato sicuramente anche dalle iniziative consortili avviate, come i progetti Zefiro (Fondo Gomma PlasticaFopenPegaso e Previmoda ) e Iride (Foncer, Fondenergia, Fondo Gomma Plastica, Pegaso e Previmoda) oltre a quello  Cdp-Assofondipensione, caratterizzati da un focus geografico nell’Ue e in Italia”, continua Dilorenzo. 

Sono pochi invece i fondi che hanno previsto a livello strategico un focus settoriale quanto ad investimenti alternativi. In questo caso, per quelli che lo hanno, i comparti attenzionati sono prevalentemente quello del real estate, delle infrastrutture, delle rinnovabili e il settore sanitario. “Analizzando il portafoglio dei fondi che investono in asset class alternative emerge un forte peso della componente immobiliare, sia gestita in via diretta che attraverso fondi di settore, complessivamente queste due voci pesano per circa il 3% del portafoglio complessivo, mentre altri attivi, come per esempio il venture capital (0,01%, ndr) o il private debt (1,3%, ndr) sono decisamente più contenuti. Un’evidenza che sconta un forte peso dei fondi preesistenti, soprattutto per la gestione diretta degli immobili”, aggiunge Motroni. 

Un altro dato significativo che emerge dall’Osservatorio Mefop è poi la considerazione dei i fattori Esg (Enviromental, social, governance) nella scelta degli investimenti alternativi. “I fondi pensione che dichiarano di considerare i fattori di sostenibilità anche nella scelta degli investimenti alternativi sono in crescita di 10 punti percentuali rispetto alla precedente edizione”, sottolinea ancora Dilorenzo e questo in parte dipende dalla modifica del campione, con 16 enti in più rispetto allo scorso anno. “Ma è certamente aumentata la percentuale di quanti tengono in considerazione questi aspetti rispetto allo scorso anno.  Un segnale importante se si pensa che fino a qualche tempo fa i caratteri Esg erano tenuti in considerazione solo per gli investimenti nelle asset class tradizionali mentre ora vediamo che, anche grazie alla forte spinta normativa, stanno diventando parte importante delle scelte di investimento relative all’intero patrimonio”. 

E guardando al futuro è interessante sottolineare che quella degli investimenti in asset alternativi non sembra una moda passeggera. I dati  Mefop indicano infatti che oltre il 64% dei fondi pensione prevede di aumentare la sua esposizione a questa asset class. 

Infine, quanto a Previndai, il fondo dei dirigenti industriali ha iniziato a puntare su questo tipo di investimenti già nel 2019, con l’acquisto delle prime quote di Fia (Fondi di investimento alternativi), con un focus particolare sull’Europa e sull’Italia, con quest’ultima che, in base alle strategie di investimento,  a tendere dovrebbe arrivare a raggiungere il 5% dei portafogli di ognuno  dei due comparti finanziari: Bilanciato e Sviluppo. A oggi sono stati impegnati circa 210 milioni con un focus particolare su infrastrutture, private equity e private debt e attualmente in corso la selezione di nuovi Fia, concentrati prevalentemente nell’economia italiana, per arrivare a superare i 200 milioni di nuovi investimenti entro un anno.

 

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