Per Tabarelli (Nomisma Energia) nei prossimi dieci anni le fonti di approvvigionamento italiane non muteranno in maniera sensibile. Per superare lo shock degli ultimi mesi serve aprire i rubinetti del Nord Stream 2
Un vero e proprio shock energetico quello vissuto dall’Italia negli ultimi mesi, con il prezzo del gas letteralmente schizzato (+500%) tra gennaio e dicembre 2021. Una situazione non prevedibile, ma certo la politica in questi anni ha badato più alla sostenibilità ambientale che alla sicurezza ed economicità del comparto. Ne è convinto Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia che in questa intervista con Previndai Media Player dice la sua su come evitare il ripetersi di questo scenario.
Il caro energia sembra fuori controllo in questo inizio di 2022, quali le cause principali?
Direi che la causa principale è certamente la mancanza di gas dalla Russia, che ha varie ragioni. Ma non solo, in questo disordinato tentativo di uscire dalla pandemia, in Europa e nel mondo, si registrano diverse strozzature nelle supply chain e questo vale anche per il gas. Inoltre le scorte sono molto basse in tutta Europa, la Russia ha consegnato meno sui mercati spot e poi c’è il gasdotto Nord Stream 2 che è pronto ma non parte e questo è un problema fondamentale.
Uno stop legato alla crisi Ucraina?
Sicuramente quello dell’Ucraina è un tema. Oggi si parla molto di possibili sanzioni alla Russia ma di fatto le sanzioni le stiamo già pagando noi europei nelle nostre bollette. Basterebbe dare l’ordine di partenza al Nord Stream 2 e i prezzi del gas avrebbero un crollo tangibile già nelle bollette del prossimo aprile.
Il problema allora viene tutto dall’Est?
Non solo. La ripresa economica ha portato con se una forte domanda di gas naturale liquefatto (gnl) in Asia ma anche in tutta la Ue. A ciò si aggiunge il fatto che gli Stati Uniti non hanno tantissimo gas da mandare in Europa e anche una carenza di investimenti nelle fonti fossili, per via degli orientamenti della politica e della finanza verso un futuro senza questi combustibili.
Ma un simile scenario non era prevedibile, posto che era ipotizzabile un rimbalzo dell’economia dopo il crollo del 2020?
Ex post è sempre facile trovare soluzioni. Personalmente da 20 anni sostengo che andiamo verso uno shock energetico ma mai avrei pensato che accadesse sul gas e con tale intensità. Negli ultimi 20 anni l’Ue non aveva avuto grandi difficoltà anche per il rapido sviluppo delle rinnovabili. Certo sapevamo che le scorte di gas in Europa quest’anno erano basse e oggi il problema è che non stiamo facendo nulla per far sì che a fine estate queste scorte siano piene e non si arrivi al prossimo inverno con la stessa situazione di questo 2022.
Il governo ha preso una serie di iniziative per calmierare gli effetti del caro-energia sulle bollette di cittadini e imprese, considerate però insufficiente dal mondo industriale. Cos’altro si potrebbe fare?
Direi che sarebbe stato importante fare molto prima quello che il premier Mario Draghi ha fatto pochi giorni fa e cioè far pressione sulla Russia per avere più gas. Si potrebbe poi pensare di usare più carbone, come fa la Germania per esempio. Noi abbiamo diverse centrali a carbone e potremmo riaprile rapidamente. Ovviamente anche una riduzione dei consumi aiuterebbe, in questo l’arrivo di un clima più mite, andando verso la fine dell’inverno, sicuramente sarà un bene. Ma ribadisco, la cosa più urgente è la partenza del Nord Stream 2.
Come far convivere la transizione verde voluta dall’Europa con la crescita economica e prezzi dell’energia sostenibili per un Paese come l’Italia, che importa gran parte dell’energia che consuma?
Non è semplice, ci troviamo oggi in questa situazione anche perché negli ultimi anni la politica si è concentrata molto più sulla svolta ambientale che sul problema della sicurezza ed economicità degli approvvigionamenti. Lo shock energetico che stiamo vivendo in questo inverno 2022 dovrebbe restare come monito per il futuro e insegnarci che abbiamo bisogno di più gas, che dobbiamo avere un sistema flessibile, ricordando che le rinnovabili sono intermittenti e a bassa intensità e inoltre non crescono al ritmo degli obiettivi che ci poniamo. Bisogna riconoscere che non basta abbandonare il gas o chiudere i pozzi per avere più rinnovabili.
Il nucleare di nuova generazione, di cui ha parlato anche il ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, potrebbe essere un’opzione per l’Italia?
Potrebbe esserlo ma di fatto siamo un Paese difficile e abbiamo grandi problemi a gestire sistemi complessi: avevamo quattro centrali nucleari, le abbiamo chiuse nel 1987 e non riusciamo ancora a smantellarle. Detto ciò, abbiamo ottime scuole di fisica e ingegneria e se il problema del cambiamento climatico diventerà più serio avremo si bisogno del nucleare.
Come vede il mix energetico italiano nei prossimi 5-10 anni?
Non molto diverso da quello di oggi. Le rivoluzioni nell’energia non si fanno in 10 anni. La politica ci ha abituati ad annunci su cambiamenti repentini ma la verità è che lo scenario almeno nei prossimi dieci anni resterà dominato dal gas per l’elettricità, con una crescita delle rinnovabili ancora molto modesta rispetto alle ambizioni; mentre il petrolio dominerà nei trasporti. Inoltre quantità importanti di energia continueranno ad arrivare dall’estero, soprattutto dalla Francia, dove domina appunto il nucleare.