Di Sergio Corbello, Presidente ASSOPREVIDENZA (Associazione italiana per la previdenza complementare è un’entità priva di fini di lucro e opera quale Centro tecnico nazionale di previdenza e assistenzacomplementare).
L’argomento trattato, diciamolo subito, consente di evidenziare come Previndai debba essere considerato un’isola felice nell’ambito del comparto, giacché il tasso di adesione al Fondo, rispetto alla totalità dei Dirigenti interessati, si attesta intorno all’80%. La complessiva realtà della previdenza di secondo pilastro di origine collettiva è assai meno positiva: il tasso di adesione si avvicina al 23/24% del potenziale bacino di utenza, rappresentato dall’insieme dei lavoratori subordinati.
La tematica della scarsa adesione ai fondi pensione complementari, in primis da parte dei lavoratori più giovani, va costantemente evidenziata, poiché essa è foriera di un enorme rischio sociale prospettico. I trattamenti di base del futuro avranno un peso economico piuttosto contenuto, sensibilmente diverso dalle misure conosciute anche in un recente passato. Rispetto all’ultimo reddito lavorativo, le pensioni daranno luogo a un tasso di sostituzione, che, grosso modo, potrà aggirarsi da un 30% (per soggetti con carriere “napoleoniche”) a un 60% (per persone con storie lavorative piatte), in ragione delle vicende dei singoli. È palese la necessità – soprattutto per chi si trovi in posizioni lavorative economicamente modeste e come tali di fatto impeditive dell’accumulo negli anni di risparmio prudenziale di ammontare significativo – di trovare un ulteriore supporto per il reddito della vecchiaia. Di una vecchiaia, si badi, pandemie permettendo, tendenzialmente sempre più lunga ma che, nella parte finale, diverrà necessariamente assai fragile e in quanto tale potenzialmente generatrice di crescenti bisogni monetari.
La previdenza complementare è quindi la seconda gamba pensionistica del reddito futuro dell’anziano e i cittadini debbono attivarla con ogni tempestività, per giovarsi della forza della capitalizzazione di lungo periodo, su cui essa si fonda.
Altro elemento chiave sul quale va attirata l’attenzione riguarda l’ammontare degli accantonamenti (apporti contributivi) annui da destinare al fondo pensione. Per chi intenda percepire una “seconda pensione” intorno al ragionevole ammontare del 20% dell’ultimo reddito lavorativo, le somme destinate alla futura rendita privata, tendenzialmente non debbono essere inferiori almeno al 10/15% annuo del reddito lavorativo tempo per tempo conseguito. Per i lavoratori autonomi e libero professionali questo traguardo impone di sfruttare in toto il – modesto – limite di deducibilità fiscale annuo dei contributi (euro 5.164) e di superarlo il più possibile, tenendo conto della circostanza che i versamenti contributivi non dedotti a monte non saranno imponibili a valle, quando verranno percepiti in forma di prestazione.
Quanto ai lavoratori dipendenti, di cui specificatamente ci si occupa in questa sede, occorre che essi giustappongano al contributo datoriale – previsto dai diversi contratti collettivi – il proprio e vi aggiungano il TFR. Quest’ultimo, da solo, vale annualmente circa 7 punti di contribuzione e ipotizzando, mediamente, un paio di punti a carico di ciascuna delle parti, si sfonda il plafond del 10% annuo, di cui si è detto. La tematica del peso economico dell’accantonamento annuo è centrale per la costruzione della seconda pensione e a questo riguardo è doveroso lanciare un segnale di allarme anche nei confronti degli ormai abbastanza numerosi lavoratori subordinati che aderiscono a fondi pensione categoriali soltanto con un modesto apporto contributivo datoriale annuo (sono le cd “adesioni contrattuali”, nel gergo degli addetti ai lavori). Questi soggetti debbono comprendere che siffatta partecipazione a piani pensionistici complementari è illusoria, un vero e proprio miraggio, e che per realizzare una previdenza privata economicamente efficace debbono mettere in gioco un proprio apporto contributivo e il TFR, come si è evidenziato poco fa.
La già evocata tematica dei giovani merita talune ulteriori considerazioni. Essi sono oggettivamente i soggetti che hanno prospettive pensionistiche di base modeste e, quindi, necessiteranno di maggiori coperture private ma, allo stato, il loro tasso di adesione alla previdenza complementare è quasi risibile, come certificato dai dati statistici rilasciati dalla COVIP. Vi sono delle giustificazioni oggettive del fenomeno, in primo luogo economiche, ma la situazione grida vendetta per le conseguenze sociali che determinerà quando le coorti di giovani si trasformeranno in coorti di anziani. In questa ottica va letta la proposta, di seguito sintetizzata, recentemente avanzata da Assoprevidenza, in estrinsecazione del proprio ruolo di centro tecnico di previdenza e assistenza complementari.
Assumendo di qualificare come “giovani” i cittadini infra-trentenni, si propone di riconoscere loro, ogni anno, sino a che non girino la boa della trentina, un bonus fiscale di ammontare eguale all’apporto che essi effettuino a un qualsiasi fondo pensione. Il fondo complementare di appartenenza sarebbe incaricato di gestire il bonus, utilizzandolo per i propri versamenti di imposte, trasformandolo, quindi, al più presto, in denaro contante, da accreditare nella posizione individuale di ciascun interessato. Ogni anno, il versamento contributivo dell’iscritto raddoppierebbe. Dal punto di vista economico, stimiamo che l’onere dello Stato per il bonus potrà essere sostanzialmente trascurabile: nel nostro Paese i giovani sono ormai “merce” sempre più rara (l’inverno demografico è un’altra drammatica emergenza del Paese) e comunque è assai probabile che le somme apportate al fondo pensione saranno di modesto ammontare. Questa iniziativa, tuttavia, ci pare rivestire un’efficacia promozionale importante per l’adesione alla previdenza complementare (lo slogan di presentazione dell’ipotizzato meccanismo è sin troppo facile: “aderisci, versa e raddoppia”) e, se è consentito il ricorso a “parole grosse”, essa reca anche una valenza morale, nei riguardi di fasce di cittadini nei cui confronti, sotto il profilo previdenziale, le coorti più anziane effettuano da tempo un vero e proprio scippo generazionale. Quota 100 ne è stato l’ultimo deprecabile esempio.
Concludendo, vale tornare alla realtà di Previndai. Non si può non auspicare un ancor più forte impegno del Fondo e delle Parti sociali che, oltre sei lustri orsono, ebbero la lungimiranza di istituirlo e che, negli anni, hanno dato prova di saperlo amministrare egregiamente. Un impegno volto a cercare di far comprendere a quel 20% di dirigenti industriali che ancora mancano all’appello il loro vivo interesse a mutar d’opinione. Certamente il 100% di adesioni sarà un traguardo pressoché irraggiungibile, ma l’augurio è di riuscire sempre più a sfiorarlo.